Le macchine oggi riescono a categorizzare la realtà, basandosi su un set di dati fornito dall’utente. Possono anche prevedere i comportamenti di persone, situazioni o dispositivi. Questo è molto utile, per esempio in ambito marketing, per fare proiezioni sul tipo di prodotti che un utente comprerà in base ai dati sulle sue abitudini e caratteristiche. Inoltre, hanno la capacità di identificare un nuovo target a cui proporre un determinato prodotto o servizio.
Oggi il mercato offre diverse soluzioni per il busness con l’intelligenza artificiale. Sostanzialmente sono tre i modelli per introdurre l’AI in azienda. Il primo è l’Infrastructure as a Service (IaaS) o “infrastruttura come servizio”. In questo caso l’azienda non compra l’hardware ma solo la potenza di calcolo resa disponibile in cloud. Il vantaggio di questo tipo di sistemi è avere un investimento iniziale minimo e non doversi preoccupare della manutenzione e dell’aggiornamento dell’hardware. Gli svantaggi principali sono avere un controllo molto basso sulle risorse e dover comunque sviluppare adhoc sistemi operativi e ambienti di sviluppo.
Anche il Platform as a Service (PaaS) o “piattaforma come servizio” è un modello in cloud ma, rispetto al precedente, mette a disposizione anche gli ambienti di sviluppo e il sistema operativo, oltre ovviamente all’hardware. Anche in questo caso il vantaggio è poter lavorare senza preoccuparsi di creare, aggiornare, rendere sicura e fare manutenzione dell’infrastruttura. Inoltre, il sistema PaaS permette di sviluppare soluzioni custom scalabili. Gli svantaggi in questo caso sono: uno scarso controllo sulle risorse e la necessità di avere un team di sviluppo dedicato all’AI.
Infine troviamo il modello Software as a Service (SaaS) o “software come servizio”. Questa è la soluzione più semplice da implementare perché si tratta di una serie di applicazioni in cloud già pronte all’uso. Spesso sono vendute attraverso un’offerta freemium, che permette di provare gratuitamente il prodotto prima di acquistarlo. Questo modello ha il vantaggio di non necessitare di competenze tecniche per poter essere utilizzato. Inoltre, garantisce l’accesso alle sue applicazioni in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. Tra gli svantaggi ha, come i precedenti modelli, uno scarso controllo sulle risorse, a cui si aggiunge uno scarso controllo anche in termini di sicurezza e privacy. Inoltre gli applicativi usati sono generici e non customizzati ad hoc per le necessità dell’azienda.
A questi tre modelli si aggiungono poi le API, cioè le Application Programming Interface. Si tratta di un insieme di procedure che servono per svolgere una determinata funzione. Una sorta di “librerie” che i player mettono a disposizione di sviluppatori esterni che così possono implementare la soluzione nel proprio sistema, senza dover ricreare da capo tutto quanto. Grazie alle API è possibile, per esempio, creare sistemi in grado di analizzare e tradurre testi, chatbot capaci di rispondere alle domande degli utenti, content moderator che riconoscono immagini indesiderate. E ancora: realizzare strumenti di riconoscimento facciale o vocale, rilevare anomalie e così via.
Avvere un approccio strategico è fondamentale per progettare ed implementare l’Intelligenza Artificiale nel nostro business. Bisogna creare da subito una giusta cultura aziendale. Poi c’è la necessità di effettuare un’analisi e ricerca per capire quali applicazioni di AI sono possibili all’interno della nostra azienda e come si stanno muovendo i nostri diretti competitor su questo fronte. Poi c’è la fase dell’ideazione, dove si va a progettare la soluzione desiderata, attraverso modelli di design thinking. Poi si passa alla modellizzazione dove si crea un modello di AI in grado di risolvere quello specifico bisogno che avevamo individuato all’inizio di questo percorso. Si mette quindi alla prova il nostro prototipo, l’errore non è un fallimento del progetto ma un momento di apprendimento. Uno step imprescindibile per arrivare al risultato. Infine, si passa alla realizzazione e all’utilizzo della soluzione trovata, che sarà sempre in continua evoluzione.
L’AI si basa sui dati e avere dei buoni dati è fondamentale. Ma cosa significa avere dati buoni? Per prima cosa, i dati devono essere quantitativamente consistenti. L’azienda deve disporre di una quantità di dati sufficiente per le finalità del suo progetto. Poi, i dati devono essere di qualità, cioè il database deve essere completo, accurato, tempestivo, coerente, univoco, integro e realizzato in modo da rispettare la conformità formale. Ci sono infatti delle regole da seguire per archiviare i dati in modo da non avere dei duplicati. I tipi di dati che si possono avere sono di tre tipi diversi. I dati di prima parte sono quelli raccolti dall’azienda tramite i propri touchpoint. Si tratta di dati di grande qualità, se raccolti in modo corretto. I dati di seconda parte sono quelli raccolti da aziende con cui si sono stretti rapporti di collaborazione su questo fronte. A differenza di quelli di prima parte, i dati di seconda parte sono anonimizzati. I dati di terza parte sono dati anonimi esterni, che possono essere acquisiti rivolgendosi ad aziende che svolgono questo tipo di servizi. Come si può immaginare hanno un valore minore degli altri due tipi di dati ma possono comunque essere utili per conoscere meglio i nostri clienti o prospect.
Per capire se i dati che possediamo sono buoni si deve fare un vero e proprio assessment. Si parte con l’identificare i nostri obiettivi aziendali e i dati che abbiamo a disposizione per raggiungerli. Se per esempio vogliamo avviare un’attività di e-mail marketing dobbiamo capire com’è strutturato il nostro database. Poi va verificata la quantità dei dati. Sempre per rimanere sull’esempio di prima, dobbiamo capire se il nostro database è abbastanza corposo per l’attività che vogliamo fare. Quindi si passa all’organizzazione delle fonti. Si verifica, per esempio, che i dati siano tutti identificati da un codice univoco. Ora è il momento di fare un check degli errori, se ce ne sono stati, e capire cosa li ha generati. Infine, si usano i cosiddetti Key Quality Indicator per misurare in modo oggettivo i miglioramenti rispetto alla situazione iniziale. Per esempio, se abbiamo riscontrato diversi errori nel nostro database, possiamo usare i Key Quality Indicator per verificare la nostra capacità di abbassare questa percentuale nei successivi 12 mesi.
L’utilizzo dell’AI rappresenta un vantaggio competitivo per tutto il processo del funnel di conversione. Il funnel come abbiamo visto anche in altri approfondimenti è un processo che porta l’utente / consumatore all’acquisto di un prodotto o servizio. Lintelligenza artificiale ci permette di segmentare e targettizzare in modo molto preciso e attendibile clienti e prospect, generando in modo automatico profili di marketing personas, segmentare e targettizzare in modo molto preciso e attendibile clienti e prospect, generando in modo automatico profili di marketing personas. Poi, sempre grazie all’AI, si possono mettere in atto attività di monitoraggio delle conversazioni fatte online, relative a un’azienda, a un brand o a un singolo prodotto o servizio. Questa pratica di ascolto della rete si chiama social media e web listening e serve per raccogliere le opinioni dei consumatori. Poi l’AI ci permette di avere avere una migliore Search Engine Optimization. A questo si aggiunge la capacità di snellire e velocizzare la produzione e la veicolazione di contenuti, facendo arrivare il contenuto giusto solo alle persone che hanno davvero bisogno di quel prodotto o servizio. AI quindi migliora la relazione tra il brand e le persone, che non si sentono martellate da contenuti inutili. Altre applicazione dell’AI in queste fasi si hanno nell’e-mail marketing e nel programmatic adv. AI permette di realizzare velocemente A/B test molto più performanti perché customizzati ad hoc per i diversi target di riferimento. Infine, nella fase di customer care, l’AI permette di avere chatbot e assistenti virtuali sempre più utili per l’utente.
Fare marketing data-driven è essenziale per portare il contenuto giusto all’utente giusto, nel momento giusto. Il marketing data-driven si basa sui dati e unisce i principi del marketing tradizionale alle possibilità fornite dall’AI. Mettere i dati al centro della nostra strategia di marketing significa mettere al centro le persone, perché proprio grazie ai dati possiamo conoscere in modo approfondito le loro abitudini e caratteristiche. Ma come possiamo mettere in pratica una strategia di marketing data-driven? Attraverso piattaforme software capaci di raccogliere i dati, elaborarli e attivare iniziative di marketing e comunicazione. La prima di queste piattaforme si chiama Customer Management System (CRM). Da notare che con il termine CRM si intende anche l’approccio orientato al cliente, non solo la piattaforma. Con l’avvento dei social anche le piattaforme di CRM si sono evolute, diventando Social-CRM. I Social-CRM riescono a integrare i dati generati dai clienti sui canali social con le informazioni tradizionali. Le Data Management Platform (DMP) sono piattaforme centralizzate che permettono di integrare i propri dati con quelli di terze parti. Servono soprattutto per la pubblicità programmatica. Infine, le Customer Data Platform (CDP) sono utilizzate per gestire in modo avanzato i dati forniti da lead e clienti.